L'ultimo discorso di Socrate è breve e si conclude con la celebre frase: "Ma ora è tempo di andare, io a morire, voi a vivere: chi di noi vada verso un destino migliore, è ignoto a tutti, fuorchè al Dio". La morte di Socrate viene descritta da Platone nel dialogo Fedone.
Per Socrate, la morte è la totale assenza di dolore, vuoto e sonno eterno, ed in ogni caso non provoca sofferenza e non deve far paura. Asseriva che se mai fosse esistito l'ADE, non ci sarebbe stato nulla di più bello: avrebbe potuto vivere una vita spirituale appagante parlando con i grandi sapienti ormai trapassati.
In aggiunta, egli non teme la morte perché sa di non sapere: sarebbe una contraddizione temerla, poiché si può temere solo qualcosa che si sa essere un male (la natura della morte sarà poi il tema centrale del Fedone).
Dopo aver bevuto la cicuta - racconta Platone - Socrate rimproverò i suoi allievi, che non riuscivano a frenare il pianto: ‟Che stranezza è mai questa, amici? Si dice che sia bene morire fra serene parole di augurio”. E serenamente spirò. Così nel Fedone.
Quale profezia Socrate rivolge a coloro che hanno votato per la sua morte?
La condanna a morte come il segno di un destino superioreRivolgendosi, invece, a quanti erano stati favorevoli alla sua assoluzione, e agli amici presenti al processo, Socrate afferma che la sua condanna a morte può essere vista non come una disgrazia, bensì come il segno di un destino superiore.