La risposta di Veldman a queste domande fu semplice ed essenziale: il contatto affettivo. Un contatto capace di toccare l'altro con una presenza di qualità: un tocco affettuoso, rispettoso, intenzionale, concentrato verso l'altra persona e consapevole di sé.
Perché ciò che ci rende in definitiva uomini è la nostra coscienza: la capacità di discernere il bene dal male e di indirizzarci verso il bene. E la memoria, anche dei fatti più dolorosi, è quella che ci permette di affinare questa coscienza, di rimanere ancorati alla nostra umanità.
L'espressione persona umana va quindi riportata ad un ambito culturale dove le vere persone, nel mondo, sono due e perciò l'attributo umana non è ripetitivo ma distintivo dell'attributo divina. Appare ripetitivo, e quindi insignificante, a chi, ignaro di tale passato, lo senta spendere come un gettone alternativo.»
Sviluppi scientifici odierni suggeriscono come elementi di unicità umana: il linguaggio articolato, l'intenzionalità condivisa, la capacità di insegnare, il pensiero simbolico e astratto, il progresso culturale, l'autocoscienza.
La differenziazione dell'uomo rispetto agli altri esseri viventi non umani si colloca, soprattutto, sul piano della produzione, della comprensione e della comunicazione del linguaggio verbale. Il piano del linguaggio è strettamente collegato al piano mentale, di cui il linguaggio è la sua espressione più preminente.